Il Libro
SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera
Autori: vari
Data di uscita: 29 Maggio 2012
Casa Editrice: RaiEri
Pagine: 334
Link di acquisto: Amazon
20 racconti, il meglio dei molti, moltissimi in concorso al premio letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal carcere”, edizione 2011-2012.
Non è stato facile scegliere. Soprattutto, non è stato facile escludere. Ogni storia trasuda sentimento, che può essere di sofferenza, di rabbia, di speranza. Magari chi scrive non è italiano o è poco più che analfabeta, ma come decidere di non premiare chi ha saputo trasmettere ugualmente un’emozione? Oppure è – senza ammetterlo – un fuorilegge convinto e racconta con aria sfrontata episodi di quel suo mondo fuori e dentro le mura del carcere con l’intento di stupire. E vi riesce. Come non riconoscergli che con la penna in mano ha raggiunto l’obiettivo? Magari, il primo della sua vita.
Alcuni racconti sono accompagnati da una lettera che per l’intensità delle parole meriterebbe di far parte del racconto stesso. Altri sono scritti come un soggetto cinematografico, scena per scena, cadenzando sapientemente le ore, i giorni, i mesi, gli anni che trascorrono senza fine. In qualche caso per davvero, perché il fine pena è “mai”.
C’è spesso rabbia, espressa senza mezzi termini, verso un sistema che fatica a dare un senso a quella rieducazione del condannato – o del dannato, come scrive uno di loro – enunciata dall’articolo 27 della Costituzione.
Questi 20 racconti ci catapultano nel mondo carcerario, calandoci dentro a storie personali che a tratti sembrano volerci convincere del perché di scelte di vita scellerate perpetrate all’infinito, ma si scopre che chi ha potuto avvicinarsi alla lettura, ha maturato con il tempo una maggiore sensibilità e, conseguentemente, la consapevolezza dei propri errori. Il circolo virtuoso lettura-scrittura-riflessione, si sa, porta spesso buoni frutti. Sono gli stessi detenuti a scriverlo e a darne merito alle persone che li hanno condotti per mano nel fantastico viaggio dell’apprendimento e della conoscenza. Si tratta, il più delle volte, di educatori e volontari che dedicano molto tempo della loro vita a queste vite rinchiuse, sospese.
L’obiettivo del premio letterario Goliarda Sapienza è di dare un piccolo contributo in tale direzione.
La scelta di abbinare ogni racconto a un affermato rappresentante del mondo culturale e dell’informazione, consente di imprimere una forma più compiuta al testo, pur nel rispetto della sua originalità, e di introdurlo attraverso un commento sicuramente stimolante per l’autore che ne è il destinatario.
SIAMO NOI, SIAMO IN TANTI
Racconti dal carcere
a cura di Antonella Bolelli Ferrera
Autori: vari
Data di uscita: 29 Maggio 2012
Casa Editrice: RaiEri
Pagine: 334
Link di acquisto: Amazon
20 racconti, il meglio dei molti, moltissimi in concorso al premio letterario Goliarda Sapienza “Racconti dal carcere”, edizione 2011-2012.
Non è stato facile scegliere. Soprattutto, non è stato facile escludere. Ogni storia trasuda sentimento, che può essere di sofferenza, di rabbia, di speranza. Magari chi scrive non è italiano o è poco più che analfabeta, ma come decidere di non premiare chi ha saputo trasmettere ugualmente un’emozione? Oppure è – senza ammetterlo – un fuorilegge convinto e racconta con aria sfrontata episodi di quel suo mondo fuori e dentro le mura del carcere con l’intento di stupire. E vi riesce. Come non riconoscergli che con la penna in mano ha raggiunto l’obiettivo? Magari, il primo della sua vita.
Alcuni racconti sono accompagnati da una lettera che per l’intensità delle parole meriterebbe di far parte del racconto stesso. Altri sono scritti come un soggetto cinematografico, scena per scena, cadenzando sapientemente le ore, i giorni, i mesi, gli anni che trascorrono senza fine. In qualche caso per davvero, perché il fine pena è “mai”.
C’è spesso rabbia, espressa senza mezzi termini, verso un sistema che fatica a dare un senso a quella rieducazione del condannato – o del dannato, come scrive uno di loro – enunciata dall’articolo 27 della Costituzione.
Questi 20 racconti ci catapultano nel mondo carcerario, calandoci dentro a storie personali che a tratti sembrano volerci convincere del perché di scelte di vita scellerate perpetrate all’infinito, ma si scopre che chi ha potuto avvicinarsi alla lettura, ha maturato con il tempo una maggiore sensibilità e, conseguentemente, la consapevolezza dei propri errori. Il circolo virtuoso lettura-scrittura-riflessione, si sa, porta spesso buoni frutti. Sono gli stessi detenuti a scriverlo e a darne merito alle persone che li hanno condotti per mano nel fantastico viaggio dell’apprendimento e della conoscenza. Si tratta, il più delle volte, di educatori e volontari che dedicano molto tempo della loro vita a queste vite rinchiuse, sospese.
L’obiettivo del premio letterario Goliarda Sapienza è di dare un piccolo contributo in tale direzione.
La scelta di abbinare ogni racconto a un affermato rappresentante del mondo culturale e dell’informazione, consente di imprimere una forma più compiuta al testo, pur nel rispetto della sua originalità, e di introdurlo attraverso un commento sicuramente stimolante per l’autore che ne è il destinatario.
Copertina
Quarta di copertina
Elio Pecora
Questo libro accoglie venti storie dal carcere, accompagnate dalle note di lettura di venti fra scrittori, intellettuali, scienziati. Sono vicende di sgomento e di rabbia, di sofferenza e di rassegnazione, anche di ritrovata chiarezza. Uomini e donne – di diversa età, di diversa provenienza, che scontano condanne – alcune per l’intera vita – raccontano le ragioni e i casi che li hanno portati al crimine e alla condanna, denunciano la condizione carceraria spesso disumana. Sono storie di delitti, di ruberie, di droga, di famiglie smembrate, di figli lasciati bambini. Sono storie generate da una società triste e deforme. Le scritture che ne vengono, tutte col vigore e l’efficacia della confessione e del chiarimento, conducono dentro realtà difficili e complesse. Grazie alla scrittura, ognuno dei venti autori, si fa attore e testimone della propria esistenza e per questo, dal chiuso di una cella, chiama e significa la sua libertà.
I Vincitori
1° Classificato
Borderline
di Francesco Fusano
Il disturbo della personalità borderline è caratterizzato da una forma pervasiva di instabilità dell’immagine di sé, delle relazioni interpersonali e dei rumori. Una consistente e marcata turba dell’identità è pressoché continua, spesso pervasiva ……………………..
Nevrosi depressiva, depressione maggiore e psicosi reattiva breve figurano tra le complicanze di questo disturbo………………………………
Ho atteso circa 23 mesi per questa diagnosi e ora cosa me ne faccio?
……………………………….. conservo gelosamente il ricordo di Francesco tra i 21 e i 27 anni, un ragazzo non troppo alto, 1,68 m per 73 kg; nessun accenno di pancetta o maniglie, occhi grigi, fotocromatici, che spaziano nell’iridescenza tra il verde più intenso dello smeraldo e il blu profondo dello zaffiro. Lisci, lunghi capelli biondi ad avvolgermi il viso, che se non educati diventano ricci ribelli, fili d’oro; ne andavo fiero come un leone della sua criniera.
……………………………….
In camera espongo orgoglioso le foto di un “fu Francesco”. ……………………………….Io, alieno e alienato, non ho progetti, tranne uno, procurarmi soldi e droga: io eroe della mia eroina e così assetato di coca.
………………………………………
La macchina della giustizia è lenta, la clessidra è ostruita e il tempo si dilata come le mie pupille. Mi stringo al muro, questo giaciglio improvvisato in una cella di sicurezza, panchina di cemento, una coperta e il mio mal di vivere che mi sussurra all’orecchio: “Ucciditi! Ucciditi!”.
…………………………………………………
II medico di guardia mi rifila 2 Tavor sottobanco, preferisce che sia il dottore del Sert a sbrigare la mia pratica, sono troppo impegnativo! …………………………
Il dottore del Sert è un uomo sulla quarantina, un metro e 80-85 per 90 kg, lo sto pesando mentre dentro di me l’astinenza si fa sempre più prepotente. Cerco di scorgere fra le sue parole una formula d’assoluzione, ma ricevo solo ammonizioni per le torture cui sottopongo il mio corpo.
Trattiamo. II tossico che è in me ha la meglio. Sono addestrato. Concordiamo di cominciare con 40 mg di metadone. Nelle 72 ore successive arriverò a estorcergli 80 mg. Tuttavia, nulla di ciò che dirò insinuerà in lui il sospetto che l’unico obiettivo è: “non esserci”. ……………………………………………………
Il vice capoposto soprannominato “faccia di merda”, come lo sbirro del film C’era una volta in America, con poche parole e a denti stretti, mi comunica che si è liberato un posto. Tutti italiani. Il posto in questione è quello al suolo, nessuna branda solo un materasso.
Non batto ciglio, il “sostitutivo” controlla l’equalizzatore audio e le funzioni video del mio corpo…………………………………………
Preparo le mie cose, abiti che da anni mi accompagnano nelle galere, fieri di aver conosciuto i confini di Rebibbia, poveri ma dignitosi. Solo io ho smarrito dignità e orgoglio.
…………………………………………………
Destinazione 3° sezione: tossic-park! Cella: 314. Abitanti: due catanesi ultracinquantenni che mi squadrano dalla testa ai piedi.
Nell’arco delle successive dodici ore hanno provato, senza risultato alcuno, a impressionarmi. In 12 minuti li ho resi ipocondriaci, non gli importa che abbia bicchiere e posate segnate, per loro sono un appestato, un lebbroso: ho l’epatite C. …………………………………………………
Mi sono concesso un’unica uscita ai passeggi, non mi vanno queste facce gialle. Forse voglio solo nascondere la mia. Sono l’incarnazione dell’atroce sofferenza che mi autoinfliggo, peso 53 kg, se mi cogliesse di sorpresa una folata di vento, mi trascinerebbe come una foglia secca. E poi, devo stare attento a Loro, non vogliono che io esca dalla cella. Lì fuori ci sono demoni, tenebrosi mostri che altro non aspettano: uccidermi. …………………………………………………
Dal 3° reparto al 2°, sì, certo! Viene naturale pensare che siano vicini, si succedono numericamente, ma qui non esiste logica, nessuna scienza. Ci separano. Restiamo in due. Carichi come muli, percorriamo metri, 600 circa, scale, corridoi, e ancora scale. L’ascensore, no! È solo per gli agenti.
Arriviamo a destinazione. Per me la suite n° 4, per l’altro la 24.
All’ingresso nella cella mi percuote un odore pungente, olio bruciato, puzzo di fritto stagnante. Il disordine regna sovrano, ma sono addestrato.
………………………………………………………
Mi sono stabilito, ho piantato i picchetti, non mi muovo. Non esco mai dalla cella, se non per la doccia e il metadone. È la mia protesta, grido al mondo il mio non esistere, eppure respiro, mangio, cago. Sono morto dentro e con ostinazione, quella stessa morte interiore cerco di trasferirla anche al corpo, ma a chi posso raccontarlo? Chi mi capirebbe?
Piango e mi dimeno nel sonno. Grido al risveglio. Resto immobile, non respiro. Ci vogliono dai 20 ai 35 minuti per convincermi che i lamenti e le voci, le mani sporche di fango che vogliono tirarmi a loro, sono solo frutto dell’immaginazione.
…………………………………………………………
La mia attenzione è richiamata da un individuo che indossa uno strano costume. Conosce il mio cognome, il mio nome, il mio segno zodiacale, mi ha persino beccato segarmi nel cesso. Io, di lui, non so niente! Questo è il carcere: ti spoglia, ti priva dei tuoi più intimi pudori, ti rende un insieme di lettere e numeri, e a ricordare che anche tu “sei esistito”, una foto su un cartoncino resta l’unica testimonianza.
Scandisce il mio cognome, mi guarda ammonendo la mia mole. Ho sostituito l’abuso di droghe con eccessi d’alimenti. Devasto il fegato con una media di trenta uova ogni cinque giorni, chiaramente le assumo a orari precisi, solo di notte, tra e due e le tre.………………..
Ad attendermi nell’ufficio, una donna. …………………………………………… Capelli lunghi. Seppur seduta, intuisco che le arrivano sino alle anche. Neri, di un nero che ricorda la notte. …………………………………………………………
“Sono venuta per guardare in faccia chi è tanto coraggioso e incosciente da autodenunciarsi”. ……………………………………………………………………………..
Suppongo sia una professionista, preparata a menti confuse, sconvolte, ai folli!
………………………………………………………… Io, la nota errata, tutte le settimane siedo di fronte al desiderio d’ogni ragazzo e uomo che sospiri tra queste mura, la dottoressa Taccolgo.
Luis, il mio compagno di cella, mi prende in giro, quando nell’attesa mi cambio d’abito in continuazione. Ricerco accostamenti di tonalità che facciano risaltare quel poco di grazioso che di me resta. È per Lei che lo faccio. ………………………………
Le settimane scorrono, ora mi sento fortunato.
…………………………………………………………
Motivazioni
Stile sorvegliato, ricchezza lessicale, citazioni sparse, memoria di buone letture e visioni, ironico trascendimento del vissuto, al punto che non importa più sapere se i fatti siano accaduti. I personaggi, figure appena accennate e indelebili. Sopra tutte, la figura della nutrice. Borderline, diagnosi-specchio di una vita, è letteratura in senso autentico.
2° Classificato
Introduzione alla devianza di un cane
di Salvatore Torre
………………………………
Il mio cane, un bastardino tutto nero, dimorava abitualmente sulla strada, davanti a casa. Dico abitualmente, perché non di rado spariva per un’intera settimana. Ma non è questo che lo faceva strano. Destava meraviglia, invece, il fatto che lasciasse transitare per quella via chiunque, a qualsiasi ora del giorno e della notte, eccetto, guarda caso, carabinieri e affini.
Sul serio! E a nulla valeva che fossero in divisa oppure no: li fiutava appena sopraggiungevano sulla piazzola del paese, che dalla casa distava non meno di trecento metri.
Così docile e caro, si trasformava in una belva giusto quando uno di quei signori aveva l’aria di recarsi alla nostra dimora. Tanto ringhiava e mostrava i denti, che una volta minacciarono con la pistola perfino di ammazzarmelo.
Questo meditavo in attesa di dare quegli esami e mi chiedevo nuovamente quale salvezza avrei mai potuto avere, se quel mondo subdolo e perfido aveva persino suggestionato la ragione di un cane!
Si potrebbe ora discutere delle capacità di quell’animale di far sue le emozioni di quanti aveva in affetto, ma anche laddove ne concordassimo il senso, resterebbe il fatto che finanche lui, il cane, si era di fatto conformato alle leggi di quella scellerata società.
Quale salvezza, dunque? Nessuna.
Magari qualcuno mi avesse fatto stirare il collo dall’altra parte di quel mio mondo… giusto per mostrarmi che di là c’era di meglio, avrebbe forse insinuato in me la curiosità e, chissà, anche il richiamo che mi transitasse verso un altro destino!
…………………………………
Avevo trentasei anni, ma già i capelli e il pizzetto mostravano qualche filo grigio. Non ero sposato e non sapevo se un giorno mi si sarebbe data la possibilità di farlo. Disperavo, in verità.
Del resto, donne non potevo frequentarne tante, e quelle poche, anzi pochissime, che avevo modo di conoscere, non mi ritenevano per nulla affidabile. Mi guardavano di traverso, mi scrutavano, cercavano forse di capire chi fossi in realtà. Non che dessi loro modo di equivocare sulla mia personalità… ero un ergastolano, dopotutto.
…………………………………
Ci vedevamo una o due volte al mese e non facevamo che parlare e parlare… in verità, ce ne stavamo là, seduti l’uno di rimpetto all’altro, pensando di voler fare tutt’altro.
………………………………..
Dalle nostre parti c’era un detto: “O ammazzi o ti fai ammazzare”, e io facevo il possibile affinché la seconda ipotesi non accadesse. Tanto ero accorto, che non mi si vedeva mai passeggiare per la piazza, mettere piede in un bar, né giammai entrare dal barbiere. Il rischio era appunto quello di prendere una fucilata in faccia.
………………………………
A vent’anni, per mia fortuna, non ero finito ammazzato, ma dritto dritto in galera. E io con dignità e onore la sopportavo. Non per nulla avevo per idolo Peppinu u Malpassotu.
Che minchione!
Chi, il Malpassotu?
No, io. Perché lui, di farsi la galera non ci aveva pensato manco un istante ……………………………… ne era passata sotto i ponti dacché il Malpassotu si era pentito, tanta che avevo trascorso altri tredici anni di carcere.
Io, disgraziato per natura, non mi pentivo… ditemi fesso, ma quello decidevo.
Motivazioni
Mezza vita fra delitti e castighi, raccontata con ironia, siculo distacco, gusto dell’artificio retorico. Un monologo esilarante, autocritico fino all’autoironia. Pietoso per l’insensatezza del mondo, che lo si guardi da dietro a da fuori le sbarre. Emerge una giostra da baraccone paesano, nemmeno troppo malinconico: quanto basta perché al lettore paia di intravedere qualcosa di sé.
3° Classificato ex aequo
Quattrometriquadri
di Michele Celano
II biglietto per Marsiglia non costa molto. Salgo…………………………………………… Ci stavo andando per dare un senso alla mia vita, inseguito dalla polizia, dalla cocaina, dai sensi di colpa, dai fantasmi che cercavano di riportarmi dove mi ero calato per gioco, per sfida, per prova, per curiosità, per carenza, per stupidità.
……………………………………L’arruolamento consiste, inizialmente, nel firmare una sorta di contratto della durata di cinque anni, dove in pratica diventando un legionario sarai soltanto Suo, della Legiòn e della sua patria: la Francia.
Spogliato di ogni abito personale e privato della vecchia carta d’identità, solitamente falsa per ogni cercatore di altra vita che si reca in quel posto, mi diedero una tuta sportiva colore verde e delle scarpe Adidas, portandomi come un turista nella mensa. Lo fanno per tradizione. …………………………
Il giorno che superai il cancello, insieme a me c’erano altri ragazzi. Tutti giovani, provenienti da ogni parte della terra, in fuga da qualcuno e da qualcosa: comunisti della Serbia, Valloni del Belgio con il mito di Leon Degrelle, nazionalisti olandesi, nostalgici hitleriani della Germania, Ustascia croati, anarchici spagnoli, irlandesi di una Belfast occupata dagli inglesi e, ironia della sorte, soprattutto britannici. ……………………………………………………..
Sveglia alle 4:00, abluzioni, appello e saluto alla bandiera alle 4:30. Baguette e latte bianco, marmellata, cioccolata fondente, formaggio e uova sode sono parte della ricca colazione del legionario. Ginnastica sfiancante, acido lattico a riempire ogni muscolo, percorsi di guerra variegati, addestramento alle armi di ogni genere e tipo. ……………………………………. La prova del “paperino” è qualcosa di incredibile. Consiste nel venire picchiato fino allo sfinimento da tutti i tuoi camerati. …………………………………….. Se la superi senza versare una lacrima, senza un lamento, sei sulla buona strada per farti accettare da tutta la compagnia. A me è costata due costole rotte, il setto nasale spaccato, gli occhi tumefatti per venti giorni ……………………………………
Noi “stranieri” non avevamo neppure i documenti per l’espatrio. Anche volendo, non potevamo tornare indietro. Solo la diserzione ci avrebbe permesso di lasciare Aubogne, ma chissà cosa avremmo ritrovato. La mia libera uscita consisteva nell’andarmene in un piccolo borgo marinaro a pochi chilometri dalla base: La Ciudad. …………………………………….
II bar della piazza centrale del borgo era il ritrovo della mia compagnia. Giocavamo alla “Belote”, una sorta di ramino, bevendo anice allungato con l’acqua minerale Perrier e pescando dalla diga del piccolo porto pesci di scoglio, buoni soltanto per la vista e per le risate tra noi “duri”. Una mattina, al contrappello, il capitano Kazinski, un polacco naturalizzato francese con 20 anni di servizio ed ex appartenente al O.A.S. francese …………………………………….. mi chiamò a rapporto. Parlava bene l’italiano. Diceva che lo aveva imparato dalle puttane del mio paese. Mi chiese se volevo essere trasferito a Calvi, in Corsica. In quella isola c’era il distaccamento del 2° reparto paracadutisti. …………………………………….
Dalle strade della solitudine ero arrivato a sentirmi un uomo, un qualcuno ben delineato. …………………………………… Nel 1983 la Francia decise, insieme all’America e alla mia ex nazione di appartenenza, di intervenire in Libano. La chiamarono missione di pace, di fatto un intervento armato in tutti i sensi. ………………………………
Ero in Legione da 15 mesi. Ora, la storia si faceva veramente seria. Sognavo il deserto, perché ne celavo uno dentro di me. Fui assegnato con la mia squadra a fare la scorta a camion di merci, che dalla Valle della Bekaa (ai confini con la Siria) trasportavano ogni materiale possibile fino alla capitale, controllata da diverse fazioni. Una terra di tutti e di nessuno. Il mitragliatore portato a tracolla (il FAMAS), in calibro 5,56 NATO, era uno dei più avveniristici fucili di assalto in quel 1983.………………………………
La mia compagnia si chiamava chat noir, perché era composta in prevalenza da arruolati di pelle più scura dei francesi. L’unico vero francese era il nostro ufficiale dal nome transalpino improbabile: Schramme.
Dormivamo in una vecchia scuola abbandonata a 50 km da Beirut, nel feudo di un signore della guerra che si chiamava Walid Jumblatt ……………………………
Scavo nei detriti a mani nude. Le unghie si spezzano sotto i calcinacci. Sento le urla in francese dei sopravvissuti, rimasti feriti sotto le macerie: “Maman, maman!”. Sotto una trave riconosco François Derrand, un lionese con cui uscivo durante le licenze quando ero ad Aubogne.…………………………………… Fino a notte fonda è solo sangue. ……………………………………
Con il commilitone Farid abbiamo avuto 24 ore di licenza. Possiamo andare a sbronzarci a Beirut. Possiamo scoparci una puttana, non importa se cattolica, musulmana o buddista. ………………………………… Prendiamo una stanza in una pensione di quarto ordine a ridosso della linea verde controllata dagli americani e dai falangisti cristiani di Bechir Gemayel al soldo della CIA. La stanza puzza di piscio. ………………………………… Farid non è nuovo alla droga. Ha iniziato a dialogarci a Parigi, tra i suoi connazionali provenienti da una ex colonia francese, ma mai divenuti “cittadini”.………………… M’insegna a fumarla alla “cinese”, aspirandola da un cannello di vetro, mentre la polvere scorre sopra la carta stagnola, bruciata dalla fiamma dell’accendino militare ZIPPO. La guerra se ne va, apparentemente, per un istante senza fine diventa paradiso della pace e della quiete. Eroina. Mi sveglio la mattina dopo come se nulla fosse accaduto. È così che va le prime volte!
Motivazioni
Parabola amara di un giovane che inseguiva sogni di eroismo e finisce in una cella di quattro metri quadrati. Nel racconto di Michele Celano, scritto con stile sapiente e maturo, ricordi e sconfitte convivono, senza rimpianti, con miraggi di libertà.
3° Classificato ex aequo
Terzo piano – passeggio!
di Pavel Costel
Sono Pavel Costel, nato in Romania il 3.07.1957 e mi trovo nelle carcere italiane di due anni, due mesi e 15 giorni per estorsione. Parcheggiatore abusivo in Napoli, sono stato prima volta a carcere Poggioreale Napoli……………………….
“Terzo piano – Passeggio!”.
Così grida “Foca” appuntato di giorno, una guardia grossa e troppo cattiva da padiglione Milano…………………………
Abbiamo diritto di passeggiare una ora a mattina e altra ora pomeriggio. Oggi sono in fretta e chiedo subito a Franco e a Toni una sigaretta. Io non celo soldi, non celo colloqui e non trovo di lavoro in carcere.
“Tutto a posto delinquente?”.
“Tutto a posto! Si dice che la prigione ha dovere di correggere le tendenze criminale”.
“Caro Franco, tu sei un filosofo e non lo sai. Ma fammi piacere, vai a dormire!”.
“Ma è così Pavel!”.
“Fai attenzione, filosofia è una cosa al confine di religione e sempre vicina con scienza”.
…………………………………
“Io, per caso, sono un filosofo?”.
“Sì, Franco, a volte sei. Ti ascolto di due anni e non mi stanco, anche quando dici delle stronzate”.
…………………………………
“Dimmi una favola con filosofi, Pavel”.
………………………………..
“Ti racconto una favola vera, mia favola”.
“Comincia con l’inizio!”.
“Io, dopo questi muri, non mi sento prigioniero, hanno chiuso mio corpo, ma mia mente è sempre libera di andare dove vuole”.
“E dove va?”.
“Ovunque! Dappertutto! La mente è una forza”.
“Ti ho chiesto: dove va?”.
“Ti spiego con pazienza, mi serve un’oasi di pace a disposizione. Andiamo sulle scale, se non capisci, non fa niente, ti spiego un’altra volta. Ma se non sei capace di capire, io lezione con incapaci non inizio proprio”.
“Ma dai… vai avanti”.
……………………………………
“La verità è che nella prigione, di filosofia, non ne sa niente nessuno”.
“Neanche brigadiere, neanche ispettore, neanche dottoressa?”.
“Allora vedo che mi stai provocando. Non si fa così. Filosofia qui a Poggioreale è una cosa segreta, un vero buco nero, perché è troppo difficile da decifrare suoi principi. Filosofia comincia da antichi con preti egiziani, ma cresce e si fa forte e potente con greci e latini. Tu lo sai, fuori, nella città di Napoli, i filosofi sono tanti, perché se uno pronuncia un suo abracadabra è seguito subito da un altro e così via”.
“Io credo, Pavel, che da crisi non scappa nessuno, perché niente è fuori da crisi, pure la prigione… Troppa crisi”.
“Ma fammi piacere Franco, i ricchi se ne frega di crisi, come se ne frega di noi qui. Sempre 12 nella stanza, ammassati uno sopra altro. Anche politici fanno finta di niente, per loro i carcerati sono gente di poca importanza”.
……………………………………
“Guaglio’, Pavel, tu non mi hai parlato nessuna volta di te”.
“In 2007 anche io in pullman che mi ha portato in Bel Paese. Dopo solo due anni, eccomi per la prima volta nella mia vita detenuto in prigione”.
“Cerca di dimenticare le cose brutte, oggi è una bella giornata”.
“Hai ragione e cerco di condividerla con te. Questa condanna è un periodo di vita che nessuno ti restituisce”.
“Pavel, niente può durare in eterno”.
…………………………………… È l’ora della gratitudine: ti ringrazio Franco per l’amicizia che mi hai donato in due anni in questa brutta prigione”.
“Ma lascia stare! Io ogni sera mi rispondo a tre domande: a) che cosa ho fatto di male, b) che cosa ho fatto di bene, c) che cosa ho omesso di fare”.
“Franco tu sei un filosofo della più bell’acqua”.
“Forse, ma io cerco gli amici perché non amo la solitudine”.
“Nietzsche, un filosofo tedesco, dice che la solitudine in se stessa non è brutta né bella e né impara il disprezzo per la morte”.
“Anche vita è così: bisogna sempre guardare a quelli che stanno peggio di noi, per meglio apprezzare la bontà di Dio”.
“Caro Franco, da tanto tempo è inventata teoria dell’indifferenza…”.
Motivazioni
Di cosa parlano i detenuti durante il passeggio? di filosofia. Contenuti di sorprendente originalità per il racconto di Pavel Costel che con l’uso dell’italiano approssimativo, da immigrato, costruisce un linguaggio letterario di grande impatto emotivo in grado di portare la lingua orale globalizzata nella pagina scritta.
Menzioni speciali
Un destino segnato
di Salvatore Francesco Pezzino
….. Alle ore 4:00 circa vengo prelevato dalla sezione di semilibertà da agenti del corpo di Polizia Penitenziaria, carabinieri della stazione di San Gimignano, carabinieri del R.O.S e D.D.A. di Palermo.
…………………………..
Dopo la perquisizione di rito vengo accompagnato all’interno del carcere, in una stanza utilizzata per gli interrogatori. Trascrivono tutto, analizzano le mie carte, le agende, guardano nel portafogli, fotocopiano e sequestrano.
Io sono fermo, seduto davanti alla scrivania, osservo, ascolto. Vedo un fascicolo enorme. Avrò poi modo di constatare che si trattava del mio avviso cautelativo per associazione mafiosa. 540 pagine.
…………………………..
Entro in cella, è vuota, attorno a me il nulla: un water, un lavabo e una branda sudicia. Un bravo galeotto sa che quelle sono le prime cose essenziali per sopravvivere, e io ormai sono un veterano. Ma non ho tempo di curarmi di questo, mi aggrappo alle sbarre, guardo giù, le gabbie di cemento che sono per l’ora d’aria degli isolati, ognuna a grandezza di singolo detenuto, giusto una “scatola”, poi uno scorcio di campo sportivo, il muro di cinta e il cielo infinito.
È quasi l’ora che avrei dovuto essere a casa prima di recarmi a lavoro, ma questa mattina, al posto mio, sono arrivati i carabinieri per la perquisizione. Penso a mio figlio Francesco, se l’avranno svegliato, se ha avuto paura… ci sono stato così poco con lui, troppo poco per aver instaurato un rapporto profondo da padre a figlio, tanto meno col piccolino, Michael, che ha solo cinque mesi. Paradossalmente sono io ad avere bisogno di loro, anche se non so manifestarlo.
Starò qui per quattro giorni (pensavo peggio, la prima volta ci stetti due mesi), ho solo le lenzuola, la coperta dell’amministrazione, i pantaloni, la maglietta, calze e scarpe.
Sento freddo la notte, non ho il pigiama, chiedo spesso alla guardia di turno di avere i pochi indumenti che ho lasciato nel reparto della semilibertà, ma giocano a scarica barile. Li avrò dopo una settimana, uscito dall’isolamento.
Un lavorante detenuto, svelto di mano, è riuscito a passarmi due sigarette, ma il difficile è riuscire ad accenderle.
Sembra impossibile a qualsiasi individuo normale che, in una situazione in cui la propria vita non ha più un senso, si trascorrano quattro giorni a pensare al modo di come poter fumare due sigarette.
…………………………..
Come previsto, arriva la classica accusa di 416 bis, ovvero “presunto mafioso”.
……………………………
Comincia il percorso carcerario in sezione Alta Sicurezza.
……………………………
Il mio fragile sistema nervoso non regge alla continua tensione e ormai penso di non poter fare a meno del sostegno degli ansiolitici. La sera sono costretto a prendere la terapia per addormentarmi, dormo sempre scomodo e faccio sogni abitati.
Il 1° giugno vengo trasferito a Padova, pensavo peggio a causa dell’evasione di Maniero, ma noto un’atmosfera tranquilla. Il mio problema è la cella, adesso sono ritornato nel mio mondo e ho bisogno di stare da solo……………………………
Per tutta risposta mi portano un matto, ho passato quattro giorni a stargli dietro, mi terrorizzava l’idea che volesse suicidarsi. Fumavo e bevevo caffè come un Kaymano per la tensione, non mi lasciava un momento tranquillo con le sue manie di persecuzione, così una mattina mi sono alzato da guerriero, ho legato la bandana in testa e all’apertura delle celle per l’ora d’aria sono uscito nel corridoio con la branda sotto braccio, disposto a tutto.
…………………………..
Dopo dieci minuti ero nel braccetto d’isolamento con tutta la roba. Loro difendono il loro operato e io le mie idee di detenuto, calpestato nei diritti. Ho avuto quindici giorni d’isolamento e sono contento, sto bene da solo e se era per me ne avrei chiesti altri quindici.
……………………………
Vengo trasferito a Vicenza per “comportamento non consono”.
…………………………..
La cella è uno schifo e non abbiamo nulla per pulire, ma qualcuno ci porta due bottiglie di acqua e un po’ di caffè, e in quel momento ci sembra di avere tutto.
Il mio compagno di prigionia soffre di una patologia strana, che non so come si chiama perché mi vergogno a chiederlo. La notte deve dormire con la luce accesa, perché altrimenti gli vengono delle crisi.
La prima notte la passo con l’asciugamano avvolto in faccia per stare al buio e stordito di “minias”. L’indomani ci riprovo per cercare una soluzione, ma non gliene frega niente a nessuno. Beh, domani è un altro giorno e vedremo cosa porterà.
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Motivazioni
Attraverso uno stile asciutto, realistico, mai compiaciuto, emerge l’autoritratto di un uomo che non cerca sconti.
Menzioni speciali
Il primo giorno
di Salvatore Saitto
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“Buon giorno, signora, Salvatore è in casa?”.
“No, già è uscito” risponde mia madre.
“Possiamo dare una occhiata?”.
“Se volete… però è inutile”.
I tre poliziotti mi trovano nudo, pieno di schiuma, nascosto dalla porta del bagno. Sanno con chi hanno a che fare, sono gentili, mi invitano a vestirmi e a seguirli.
Mentre preparo la borsa, guardano ammirati i miei computer, s’interessano dei crack che servono per scaricare illegalmente ogni sorta di enciclopedia e tutto ciò che esiste di più costoso. “Ma come Saitto, con questa testa che hai, non riesci a farlo onestamente?” esclama l’ispettore.
Non dimenticherò mai gli occhi spauriti di mia madre seduta a quel tavolo tondo della cucina.
…………………………………
Poggioreale non è un carcere come gli altri, le attese sono lunghissime. Sali, scendi, aspetti, ti spogli, abbassi gli slip, ti accovacci, ti snervi!
I vestiti e tutte le tue cose non sono più nella tua borsa, ma in un grande sacco dell’immondizia. Ti danno la fornitura, ti fanno le analisi, vai dal comandante facendo attenzione a tenere tre passi a distanza dalla scrivania con le mani dietro la schiena. Altrimenti…
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Una sera di settembre, con il caldo che prendeva alla gola, la chiave girò rumorosamente nella serratura e nella cella si presentò Stefano, smilzo, frastornato, altezza media, circa quanto me, e soprattutto diciotto anni appena compiuti. Cosa ci faceva nel padiglione nostro? Tutti pluripregiudicati, vecchie volpi delle carceri, però quasi tutti padri. Che tenerezza faceva quel dinoccolato Stefano, nato in una famiglia borghese della Napoli quasi bene. ……………………………………… La prima notte lo ascoltai piangere. Il giorno dopo lo vidi depresso sulla branda, la seconda notte, prima di addormentarci, lo avvicinai e gli chiesi se avesse voluto parlare, sfogarsi un po’ con me, ma rispose: “Grazie zio compagno, ho sonno, ho voglia di dormire”. In piena notte, l’indiano che dormiva sotto di lui avvertì uno strappo.
Stefano, con un paio di lacci sfilati dalle sue Converse da ginnastica, si era lanciato dalla sua branda del terzo piano.
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IL GRUPPO A.M.A (Auto mutuo aiuto)
Carissimi amici miei.
Quando di buon mattino apriamo gli occhi e i nostri sogni s’infrangono sul bianco giallastro di un blindato, stringiamo i denti, andiamo avanti. ………………………………
Manolo, ci servono il tuo sorriso e i tuoi muscoli. Alberto, il tuo carattere da guerrigliero e il tuo ghigno. Giovanni, che ridi poco e parli ancor meno, non dimenticherò mai quella sera della vigilia di Natale quando, per difendermi da un’offesa ingiusta, attaccasti come una tigre offesa mettendo a rischio il tuo percorso. …………………
Roberto, la sensibilità, l’altero orgoglio, il grande amore verso la memoria del tuo grande padre, Peppe da Messina, la tua chiarezza, il tuo coraggio nell’affrontare situazioni anche più grandi di te. Gino, i tuoi diciotto anni, l’incoscienza, la sicurezza di avere al proprio fianco una testa di cavolo di cui puoi fidarti. E io, il vostro compagno, amico, fedelissimo.
Forse, scontata la pena, non avremo più la possibilità di rivederci, ma io credo fermamente che il buon Dio ci accoglierà se non proprio vicino a lui almeno in un luogo dove ci potrà ben controllare…………………
Motivazioni
Per l’originale struttura spezzata e incrociata di detenuti, ricordi, lettere d’amore.
Menzioni speciali
Abbraccerai me!
di Salvatore Ventura
…………………. Ero detenuto in un carcere della Sicilia, in isolamento. Avevo da poco iniziato a collaborare con la giustizia, mettendomi a disposizione della magistratura……………
Mia moglie era stata avvertita, si fece trovare pronta con le valigie fatte e i bambini vestiti. I Carabinieri suonarono alla porta alle cinque del mattino………………………………………
A distanza di 20 anni, il salto della staccionata mi poneva di fronte a una scelta di cambiamento totale. Chiusi gli occhi, fantasticai sul¬lo stupore che avrei suscitato nei miei familiari quando mi avessero visto.
Stavamo fermi al semaforo, un rumeno insisteva per pulire i vetri. Scattò il verde e ripartimmo. Arrivammo in una zona residenziale di Roma. Sceso dalla macchina, mi sgranchii le gambe, presi la borsa e m’incamminai dietro la scorta, mentre la sera calava sulla città.
Il portone del piccolo palazzo era aperto. Entrammo. Non c’era ascensore. Salimmo tre rampe di scale che ci tolsero il fiato. Ci fermammo davanti a una por¬ta. Sul campanello vidi un nome che non conoscevo. Il funzionario notò il mio stupore, suonò il campanello e disse: “Signor Ventura, ci si deve abituare, questo è il vostro nome di copertura.” ………………………….
Il funzionario aprì la borsa, tirò fuori dei documenti e iniziò a leggere velocemente. Era stanco quanto me. Alla fine della lettura disse: “Questi sono i punti sa¬lienti del programma di protezione. Lei li deve rispettare”. Mi porse la biro indicandomi dove firmare.
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Dopo cena i nostri figli andarono a dormire. Eravamo da soli in cucina. Le porsi la mano, invitandola ad alzarsi. La pila di pentole sul lavandino poteva attendere. Andammo in camera da letto, senza accendere la luce. C’era caldo quella notte d’inizio estate. Al contatto i nostri corpi sudati esaltavano ancora di più quel momento.
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Adattarsi al cambiamento non era facile. Dovevamo fare i conti con la realtà. Avevamo un bud¬get mensile di un milione di lire. Trovai subito difficoltà con le spese. Avevo le mani bucate. Nel mondo dal quale provenivo io, i soldi, quando servivano, si trovavano sempre. …………………………
Faceva un caldo tremendo quel giorno di Ferragosto del 1996..………………………
Le dissi: “Sto pensando al giorno che ci siamo conosciuti. Suonai alla porta per incontrare tuo padre, tu apristi, ricordo che rimasi lì fisso come un baccalà, il mio cuore sembrava impazzito. Pensai subito: questa la sposo”.
“Anch’io rimasi lì come una scema. Eri bello, elegante. Ricordi mio padre che disse? Lilla, cu è a potta?”.
“Sì, lo ricordo, sembra ieri, come ricordo che la settimana successiva ti dissi: dumani e cincu ti vegnu a pigghiari, chi ni facemu a fuitina. Dissi a mio padre che scendevo a comprare le sigarette, era il 28 dicembre 1980, avevo quindici anni e tu diciassette. Da quel momento hai trascorso più anni in carcere che con me”.
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L’anno della svolta fu il gennaio del 2007. Ore 15:30, stavo seduto con Lilla sul divano, aspettavamo i funzionari del Nop (Nucleo operativo pentiti) ……………………………
Sapevamo che prima o poi si doveva affrontare quel momento. Ci concedevano tempo fino alla fine dell’anno scolastico, poi avremmo dovuto fir¬mare la fuoriuscita dal programma di protezione, lasciare libero l’appartamento, trovarci una casa, nonché una nuova residenza. Quando andarono via, spro¬fondai sul divano…………………………
Percorrevo la stradina in discesa che portava alla nuova casa. Gli alberi secolari creavano ombra e i raggi di sole non riuscivano a tagliarli. Il giardino non era re¬cintato. Al centro c’era un nobile vecchio pozzo in disuso. Entrando ci accolse la grande sala da pranzo. Stranamente, nonostante il caldo, lì faceva fresco, quasi freddo.……………………………
Motivazioni
Il racconto regala frasi che restano scolpite nella memoria.
Menzioni speciali
Temporale
di Cosimo Rega
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Un boato lacerò il cielo, luci e televisori si spensero all’improvviso, e il carcere, come per un incantesimo, sprofondò nella quiete dell’oscurità.
“Pure quella mattina pioveva a dirotto” – borbottò Carlo – “e facevo meglio a stare a casa, nel mio letto”.
Mario s’incuriosì e chiese all’amico di proseguire, ma Carlo rimase in silenzio.
“Se non vuoi parlarne, a me va bene lo stesso”.
………………………………………… Carlo respirò l’ultima boccata di sigaretta e cominciò.
“L’ordine dettato dal boss era stato chiaro: sequestrare, torturare e interrogare tutti quelli che avevano deciso di lasciare il clan per mettersi contro l’organizzazione. Erano giorni di guerra. Si usciva presto da casa senza aver la certezza di tornarci. Si girava armati, a gruppi di quattro… Lucio, uno dei sospetti traditori, ce lo trovammo quasi improvvisamente a pochi metri da noi: faceva benzina. …………………………………….
………………….. “Lucio di me si fidava come ci si fida di un fratello. Non solo eravamo cresciuti insieme, ma insieme avevamo ucciso e rischiato la vita”.
……………………..lo tranquillizzai dicendogli che il boss aveva ordinato di riunire i rappresentanti di tutti i paesi e che lui doveva partecipare perché era il più quotato.
……………………………………………
“Il deposito” – continuò – “era in una zona isolata, in aperta campagna. Era recintato da mura alte più di tre metri che non permettevano di vedere all’interno. L’entrata era protetta da un grosso cancello di ferro verniciato di verde. Lucio ordinò al fratello di scendere e di suonare il campanello. ………………………………………………
“E loro?” chiese Mario.
“Loro… loro avevano l’espressione di chi aveva la coscienza sporca”.
“E la tua? Com’era la tua coscienza?”.
“Io? Che c’entro io? Erano loro che stavano tradendo. Io non ho mai tradito e mai sputato nel piatto dove mangio. Io stavo dalla parte della ragione”.
…………………………………
Finse di credergli, e Carlo continuò:………………………………
…. Gli piombarono addosso in dieci, armati di vanghe e pistole. Feci appena in tempo a scansarmi. Li colpirono sulle spalle, sulla testa, in faccia, sulle gambe…finché non caddero in terra. Sentivo le loro ossa cricchiare… sanguinavano dal naso, dalla testa…
……………….. Eravamo in quindici. Armati. Io ero nel furgone con i due sequestrati, e con me il gruppo di fuoco di un paese vicino al mio. Oltre alle armi si erano portati anche un martello, una sega circolare e una bottiglietta di veleno per i topi……………………….
A Mario tutta la storia gli puzzava di favola. Eppure sentiva nella voce di Carlo, nei suoi gesti, il tono della verità. Una verità di cui, a quel punto, voleva conoscere la fine.
……………………………………la voce di Carlo s’incrinò leggermente.
“Li trascinarono fino alla fossa. Io, con la scusa di guardare la strada, mi allontanai di alcuni metri. Ma i nostri sguardi s’incrociarono. Gli occhi di Lucio parevano grandi come quelli di un cavallo impazzito. ………………………………………………………………
Mario era immobile.
Carlo, il camorrista, seguitò a parlare:
“L’altro fratello non era un uomo d’azione, non era come noi… un po’ per volta vuotò il sacco… Gli promisero che se rispondeva senza mentire a tutte le domande, lo avrebbero lasciato davanti all’ospedale insieme al fratello. Era una balla, ma lui volle crederci: fece nomi e cognomi ……………………………………………………………………………
Nella cella calò il silenzio.
Motivazioni
Avvincente racconto hard boiled nei colori e umori di Napoli.
Menzioni speciali
Un ricordo indelebile
di Giovanni Arcuri
………………………….Da alcuni anni mi ero trasferito dagli Stati Uniti in Venezuela, dove avevo la comproprietà di un casinò in una bella cittadina sul mar dei Caraibi………..
A un tratto, mentre sorseggiavo il caffè, portato dalla brezza, debole come il ronzio di un insetto in lontananza, giunse il rumore di un elicottero, che a poco a poco si fece sempre più assordante.
……………In meno di venti secondi eravamo circondati e sotto la minaccia delle armi…..
Un uomo alto, con una tuta mimetica grigia e una mini Uzi a tracolla, si presentò come il direttore dell’operazione e mi chiese come mi chiamavo……………………………….. Mi diedero dieci minuti per preparare una borsa con l’occorrente e salutare mia moglie e mia figlia.
………………………….. Guardai sparire la mia casa dall’alto dell’elicottero quando non erano nemmeno le 10 del mattino e il mio cuore batteva all’impazzata.
Tutto era avvenuto in meno di un’ora. La mia vita era stata stravolta in un batter d’occhio.
Questo era solo l’inizio………………………………………………………………………
Mi portarono in una camera di sicurezza senza bagno, dove c’era un giaciglio di cemento e mi dissero che nell’arco di due giorni mi avrebbero trasferito in carcere. Non mi fu dato di sapere quale.
………………………..Il carcere de Los Flores de Catia di Caracas, in particolare, era ritenuto uno dei peggiori di tutta l’America Latina…………………………………… Una terra di nessuno dove regnava la legge del più forte. Al solo pensare che sarei potuto capitare lì mi veniva la pelle d’oca.
Passarono altre ventiquattrore senza notizie, all’alba del terzo giorno mi svegliarono di soprassalto e mi dissero di prendere la mia roba, mi stavano trasferendo……………………
I miei compagni di viaggio erano esperti e mi dissero subito che stavamo andando proprio lì. “Vamos pà el Monstruo…”.
Il “Mostro” lo chiamavano, e non era certo un caso…………………………………………
……………………………. Un lungo corridoio semibuio dirigeva verso una porta tutta arrugginita con una catena legata a un lucchetto gigante, sembrava quasi una botola. Le due guardie la aprirono e mi spinsero dentro richiudendo velocemente, quasi fosse un lebbrosario.
“Buona fortuna!” gridarono sghignazzando.
Mi ritrovai nella quasi oscurità, cercai a poco a poco di abituare gli occhi e mi accorsi che sotto di me iniziava una lunga scala da dove s’intravedevano dei falò. Faceva freddo. Mentre scendevo, incrociavo detenuti che dormivano sulle scale, altri cucinavano su dei fornelli da campeggio, o si riscaldavano al fuoco. Mi guardavano come fossi un extraterrestre. Vidi numerosi topi che si aggiravano, alcuni erano grandi come gatti.
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Un detenuto mulatto con la bandana in testa e alto quasi due metri si materializzò davanti a me con un machete in mano e mi chiese perché ero lì. …………senza troppi convenevoli mi ordinò di seguirlo. Non credo di aver avuto altre possibilità. ……………………………
I detenuti avevano quasi tutti il cellulare.………………… Circolavano anche armi e denaro contante………………………Notai che le celle di cemento erano poche, la maggior parte dei detenuti era accampata sotto dei lenzuoli fissati per terra con dei chiodi, tipo tenda, e lo spazio da un giaciglio all’altro era di pochi centimetri………………… Alla fine, arrivammo di fronte a una cella dove c’erano tre uomini armati davanti alla porta. Avevano un lungo filo appeso al collo, con piccole borse di plastica contenenti polvere bianca, presumibilmente cocaina. ………………………………………
Mi venne incontro un uomo magro, tutto vestito di bianco e pieno d’oro.
“Sei stato fortunato che ti ha visto prima dei pirañas”.
“Chi sono i pirañas?” chiesi.
“Sono quelli che vivono sotto le scale. Mangiano qualsiasi schifezza… Prima ti uccidono e poi ti rubano tutto. Lui ti ha visto prima di loro, dovrai fargli un regalo..”.
“Mi hanno rubato la borsa appena sono sceso dalle scale…”.
“Dimenticala”. Poi, squadrandomi da capo a piedi: “Tu sai chi sono?”.
“No, mi dispiace”.
In seguito seppi che era il Santero……………………………………………………………
Il Santero aveva partecipato alla famosa guerra avvenuta nel carcere di Barcelona, Puente Ayala, dove il gruppo dei vincitori aveva lasciato nel patio decine di morti e diverse teste decapitate con le quali giocarono a calcio prima dell’arrivo della Guardia Nazionale. Furono spediti tutti nel carcere di massima sicurezza dell’Eldorado, nella giungla amazzonica venezuelana. La maggior parte morì di malattie tropicali, torture e denutrizione. Il Santero riuscì a sopravvivere.
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“Posso darti una cella di cemento con un materasso, un televisore, un ventilatore e un telefono cellulare. E la garanzia che nessuno ti torcerà un capello. In cambio ho bisogno di una “collaborazione”………………………………………………………………..
Motivazioni
Offerto al lettore come la sceneggiatura di un film, il racconto sembra destinato a trasformarsi in un soggetto cinematografico.
Il Premio Letterario
Premio letterario Goliarda Sapienza
“Racconti dal carcere”
C’è uno stretto legame tra il premio e alcuni programmi radiofonici che realizzo da molti anni per Radio 3, come “La storia in giallo” e “Cuore di tenebra”, in cui
racconto storie di vite “al limite”. Spesso i protagonisti sono grandi figure di intellettuali che hanno conosciuto l’esperienza del carcere o dell’emarginazione –
politica, culturale, religiosa, razziale – e che da questa hanno tratto ispirazione per le loro opere. Comunque, una maggiore sensibilità umana e artistica.
Da qui nasce l’idea di un ribaltamento delle condizioni di partenza: perché non creare un’occasione per far scoccare la scintilla a chi si trova dietro le mura di una prigione? La scrittura questo potere ce l’ha.
I venti racconti finalisti sono i migliori pervenuti al premio letterario Racconti dal Carcere, intitolato alla scrittrice siciliana Goliarda Sapienza.
Il Concorso è promosso da inVerso Associazione per la diffusione della letteratura e della scrittura presso le categorie socialmente svantaggiate (fondata da Elio Pecora e Antonella Bolelli Ferrera), SIAE, DAP-Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, RAI Radiotelevisione italiana, con il patrocinio di: Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Giustizia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Pubblicità Progresso.
Fra i molti prestigiosi sostenitori e simpatizzanti, il Goliarda Sapienza può contare sulla scrittrice Dacia Maraini, quali madrina d’eccezione, e il grande artista recentemente scomparso, Lucio Dalla, che sin dalla prima edizione offrì come simbolico accompagnamento del Premio il suo celebre brano La casa in riva al mare, dedicata al tema della detenzione.
Il Concorso è rivolto a tutti i detenuti – comunitari ed extracomunitari – presenti nelle carceri italiane.
Delle centinaia di racconti pervenuti, tre saranno i vincitori, decretati da una giuria composta da: Umberto Broccoli, Fabio Cavalli, Vito Cioce, Daria Galateria, Golria Satta, Cinzia Tani e presieduta da Elio Pecora.
Agli scrittori-detenuti finalisti, sono stati affiancati venti fra scrittori, giornalisti, intellettuali italiani – persino una scienziata! -, che in qualità di “tutor”, hanno prestato la loro penna per suggerire ad ogni racconto una più compiuta impronta letteraria.
Autori finalisti e Tutori
gli autori | i tutor |
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MICHELE CELANO | Corrado Augias |
LILY | Barbara Alberti |
JULIAN DOSTI | Carlo Conti |
SALVATORE VENTURA | Roberto Cotroneo |
PASQUALE DE FEO | Luca Crovi |
SALVATORE TORRE | Giancarlo De Cataldo |
SALVATORE SAITTO | Erri De Luca |
ROSARIO GIUGLIANO | Franco Di Mare |
FRANCESCO FUSANO | Valerio Evangelisti |
PAVEL COSTEL | Marco Franzelli |
GIUSEPPE PIMPINELLA LUIGI GAGLIONE PATRIZIO CASORIO VINCENZO ESPOSITO | Roberto Giacobbo |
GIROLAMA CURMACI | Giorgio Gosetti |
COSIMO REGA | Giordano Bruno Guerri |
MASSIMO FRUTTIDORO | Margherita Hack |
SALVATORE FRANCESCO PEZZINO | Massimo Lugli |
GIOVANNI ARCURI | Franco Matteucci |
MARCO CONTI | Michele Mirabella |
GIANLUCA MIGLIACCIO | Federico Moccia |
ALFONSO VILLELLA | Francesco Pannofino |
ROBERTO CANNAVÒ | Tiberio Timperi |
La Giuria
Elio Pecora
Presidente della Giuria
Riconoscimenti
PATROCINI: Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Giustizia, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Garante per i diritti dei detenuti del Lazio, Fondazione Pubblicità Progresso, Rai Radiotelevisione Italiana.