La scrittura e le parole per uscire dal muro più alto che c’è, quello del carcere. E’ alla quarta edizione il premio Goliarda Sapienza, “Racconti dal carcere”, dedicato a tutti i detenuti italiani e stranieri ( donne e uomini, adulti e ragazzi) presenti nei penitenziari italiani e negli istituti di pena minorili, che hanno colto al volo l’opportunità di partecipare alla gara con un racconto di carattere autobiografico. A centinaia si sono cimentati con la riflessione e la scrittura e ventisei di loro sono stati selezionati per il concorso. I loro racconti sono stati pubblicati nel libro Il giardino di cemento armato (Rai Eri) e giovedì 13 novembre il Premio, ideato ormai quattro anni fa da Antonella Bolelli Ferrera, autrice radiofonica e scrittrice che ancora ne cura il cammino, verrà assegnato al vincitore.
Il concorso, che fa suo lo spirito della Carta Costituzionale e l’obiettivo riabilitativo della pena, anche quest’anno si avvale della Siae come principale sostenitore e dell’appoggio di InVersus Onlus, del ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, anche minorile. E dimostra come, attraverso il racconto, si possa acquisire la consapevolezza della propria esistenza, per esprimersi e per sperare che la vita interiore torni ad emergere.
I ventisei detenuti sono stati seguiti nel loro lavoro da altrettanti tutor: scrittori e artisti che hanno collaborato con entusiasmo al progetto: da Maurizio De Giovanni a Valeria Parrella, da Carlo Lucarelli a Gianfranco De Cataldo, da Erri De Luca a Antonella Lattanzi, Fiamma Satta, Massimo Lugli, Pino Corrias, e Carlo Verdone. La madrina dell’iniziativa è Dacia Maraini e, a guidare la Giuria, è stato chiamato Elio Pecora.
I racconti in gara (quest’anno è stata introdotta anche la poesia) toccano il cuore, ma anche la mente e aprono spaccati di una realtà che normalmente si preferisce dimenticare: c’è la profuga siriana adolescente data in vendita dalle milizie; la madre che insegna a suo figlio bambino a nascondere la droga nello zaino, in modo che lui possa piazzarla, il killer mafioso che uccide il suo miglior amico, il somalo soldato bambino senza futuro.
Va in scena un’umanità “brutta e cattiva” che troppo spesso si vorrebbe rimanesse reclusa e nascosta. Senza diritto di parola o di riscatto. E quante percezioni e dettagli nel racconto corale del Giardino di cemento armato. Suggestioni del passato di “fuori”, ma anche fatti scanditi dal tempo del carcere, diverso, unico, sospeso, assurdo. Le parole “detenute”servono a ripensare se stessi, ad aprire spiragli in porte sigillate, facendo uscire all’esterno quel ” lato oscuro” che, anche se non ci piace riconoscerlo, aleggia tra tutti noi. Ogni racconto è preceduto da una breve introduzione del tutor e tutti insieme accendono i riflettori sulla vita di “dentro”, dove tra le celle si urla e si piange, si soffre e si sopravvive tra rituali sempre uguali: le Tv accese, gli odori di sudore e di cibo cucinato sui fornelli, il caos e le solitudini, il sangue e i suicidi.
Ma in queste gabbie di dolore è perfino possibile far nascere una scheggia di rinascita. O almeno provarci. Ha detto di sé il detenuto Cosimo Rega, finalista al Premio e che già interpretò Cassio nel film Cesare deve morire dei fratelli Taviani: “Scrivere non serve certo a ripulire l’anima, ma ad assumere la consapevolezza di chi sono stato e potrei un giorno essere, questo sì”.
Antonella Bolelli Ferrera, Scrittura e carcere, qual è lo scopo del premio Goliarda Sapienza?
L’idea di un concorso letterario rivolto a persone detenute è nata anni fa, quando, nel mio percorso di conduttrice radiofonica, mi sono imbattuta nella storia di Goliarda Sapienza. Non sapevo che l’autrice deL’arte della gioia avesse vissuto l’esperienza del carcere e che, una volta libera, l’avesse riportata in un libro, L’Università di Rebibba. Finalmente un editore accettava di pubblicare un suo testo, se non fosse finita in galera chissà se sarebbe accaduto? Dunque, la detenzione fu per lei fonte d’ispirazione, come lo è stata nel passato per tanti scrittori, ma ha rappresentato anche un’opportunità. Nasce così l’idea del premio Goliarda Sapienza: dare un’opportunità alle tante persone ristrette in carcere di esprimersi e di portare all’esterno la loro voce attraverso la parola scritta. La scrittura, si sa, permette di superare ogni barriera e per chi è stato abituato nella propria vita a privilegiare l’azione, come chi ha commesso dei reati, è anche lo strumento che favorisce il passaggio a una nuova dimensione, quella della vita interiore, della riflessione. E’ un concetto espresso dalla madrina del premio, Dacia Maraini, che ho scoperto più che mai vero nella mia esperienza a contatto con i detenuti. Persone che si sono macchiate di crimini gravissimi, donne e uomini privi delle benché minime basi culturali, trasformate nel tempo in persone più inclini al pensiero, allo studio, più disposte all’autocritica. E questo non risponde in fondo al principio di rieducazione sancito dall’art, 27 della Costituzione? Il premio Goliarda Sapienza vuole dare un piccolo contributo in questa direzione. Un detenuto di lungo corso, finalista del Premio, ha detto: “Scrivere non serve certo a ripulire l’anima, ma ad assumere la consapevolezza di chi sono stato e potrei un giorno essere, questo sì”.
Donne, uomini, minori; come arrivano i detenuti a essere seguiti da un tutor?
Il Premio Letterario Goliarda Sapienza ha la caratteristica fondamentale di affiancare a persone detenute che aspirano a diventare scrittori, degli scrittori già affermati con il ruolo di tutor. Ma per giungere a questo, occorre che il proprio scritto sia rientrato nella rosa di finalisti.
Quest’anno i racconti in concorso sono stati cinquecento. Storie al limite, di forte impatto, molte degne di trasformarsi in un romanzo o nel soggetto di un film. Non è stato facile scegliere le migliori e come sempre abbiamo tenuto conto non solo dell’originalità del testo ma anche della qualità della scrittura e della costruzione della storia. L’abbinamento con i tutor avviene rigorosamente attraverso un sorteggio. In tal modo, per esempio, un ragazzino siciliano del circuito penale minorile, si è trovato Carlo Verdone come tutor, una detenuta della sezione Adulti, Valeria Parrella, un altro ancora Antonella Lattanzi.
Ventisei detenuti finalisti (venti fra gli adulti e sei fra i minori) e altrettanti grandi scrittori che hanno il compito d’imprimere una più compiuta espressione letteraria al racconto loro affidato. Alcuni fanno parte della squadra degli scrittori-tutor dalla prima edizione del Premio, come Giancarlo De Cataldo, Massimo Lugli, Giordano Bruno Guerri, Valerio Evangelisti, Cinzia Tani, Federico Moccia e come Erri De Luca che si dice contento di fare da correttore di bozze di un carcerato. Fa bene vedere come tante penne illustri si mettano a disposizione per dare una speranza a chi non ne ha. Anche questo è lo spirito del Goliarda Sapienza.
Dopo alcuni anni, un bilancio dell’iniziativa ?
Dalla prima edizione a quest’ultima – la quarta – quasi duemila detenuti hanno concorso al Premio Goliarda Sapienza e ogni anno il numero dei partecipanti aumenta. Vuol dire non solo che l’iniziativa piace ma soprattutto cresce la voglia (il coraggio) di raccontarsi attraverso la parola scritta, che è qualcosa che rimane, che gli altri potranno leggere. E ciò significa che c’è consapevolezza di quanto si scrive, che si è riflettuto sul proprio percorso prima di darlo in pasto ai lettori. Questo è il primo risultato importante anche perché in direzione dell’obiettivo primo del concorso: la rieducazione del condannato. Brutta parola condannato, ma di questo si tratta.
A bilancio porto anche il coinvolgimento di decine e decine di scrittori e artisti (anche la giuria è composta da autori affermati) che s’impegnano sempre di più, non limitando il loro contributo, seppur importantissimo, all’aspetto letterario, ma caricandolo di umanità. Duranti gli incontri fra tutor e detenuto in carcere, diventa tangibile. Il contatto diretto con la persona che ha commesso un crimine, fa comprendere quanto sia sottile il limite tra la cosiddetta normalità e la devianza e costringe a interrogare se stessi come forse non si è mai fatto. Ma altrettanto sottile può essere il confine tra la devianza e la riabilitazione. In questo senso, ha detto qualcuno, il Premio Goliarda Sapienza è un cantiere della speranza. Tanto basta per continuare.